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In ricordo di Luciano Caccia

Abbiamo appreso la triste notizia della scomparsa di Luciano Caccia, classe 1931, ex corridore ciclista e dirigente del VC Mendrisio dal 1968 e per venti lunghi anni. Ai suoi parenti porgiamo le nostre più sincere condoglianze.

In suo ricordo pubblichiamo un articolo apparso su L’Informatore il 18 gennaio del 2008.

Luciano Caccia racconta la sua folgorante ma breve carriera ciclistica
In volata ero fortissimo..

Luciano Caccia, che ha corso dal ’47 al ’52 del Novecento, è il corridore ticinese che
ha vinto più gare (38) dopo Vitali (73).
Nato nel 1931 a Pignora di Novazzano, Luciano a 8 anni viene ad abitare a Stabio dove
rimane per i successivi 30.
Vivevo in una corte vicino alla Palazzetta, chiamata “Vaticano”. Era una vecchia casa e,
quando nevicava, bisognava mettere un sacco vicino alla porta per evitare che entrasse la
neve. A Stabio ho frequentato le elementari e le maggiori ed ho un ricordo bellissimo dei
maestri Mombelli, Vassalli, Pagani mi hanno insegnato molto. Ho ricevuto anche qualche
schiaffone perché ero un po’ vivace. A quei tempi reclamavo, ma ora, se fossero qui, li
ringrazierei! Mio papà, che era fornaciaio e guadagnava 280-300 fr. al mese, diceva una
parola al giorno, ma gli bastava un cenno, un’espressione del viso per farsi capire. Avevamo
molto più rispetto sia dei genitori, sia dei docenti.
Caccia, fisico imponente e memoria d’acciaio, snocciola date e aneddoti della sua brillante,
seppur breve, carriera ciclistica.
Non so bene come sia nata la passione per il ciclismo. C’era l’Emilio Croci Torti che abitava a
200 metri da casa mia, ma non fu lui a iniziarmi: ho preso quella passione vedendo passare
le corse: fu come un’illuminazione. La prima bici – aveva un cambio Campagnolo con 4
rapporti – l’acquistò mio papà dal Faroppa a Chiasso: costò 80 fr pagati in due rate. Mia
mamma non era molto entusiasta perché, diceva, viaggiava troppo forte.
La Sport di Lugano
Eravamo nel ’47 ed è il periodo che ricordo con maggior piacere. A Stabio si arrivava da
Genestrerio percorrendo una strada sterrata: in bici era bellissimo perché si passava in una
specie di tunnel tra campi di granoturco e tabacco: una cosa eccezionale.
Una sera, mentre stavo facendo un giro, mi avvicinò un signore in motoretta chiedendomi se
volevo correre. Era il direttore della Sport di Lugano, un certo Faccoli. Avevo 16 anni, stavo
facendo il tirocinio di meccanico,.e risposi che dovevo chiederlo ai genitori. Poi, il Faccoli
venne a cercarmi a Stabio. Mi disse che avrebbe cominciato a far arrivare la tessera e che mi
avrebbe dato due gomme. Mio papà, che era amante del ciclismo, acconsentì. La Sport mi
pagò la tessera che costava 9 fr. Mai mi passò per la mente di correre per il Velo Club Stabio
perché non metteva a disposizione nemmeno la maglia. Cominciai ad allenarmi molto,
sempre per conto mio. Ogni tanto trovavo l’Odilio Ortelli. Mi accorsi subito che lui in salita
andava fortissimo, mentre io faticavo e capii i miei limiti.
Le prime vittorie
La prima corsa negli allievi fu a Lugano. Senza rendermene conto vinsi in volata. Quella
successiva fu “Il giro dei 4 distretti”. Partenza e arrivo a Bellinzona. Feci molta fatica a risalire la
Valle del Sole, ma riuscii a rientrare a Biasca. Eravamo in 8; ognuno correva per conto suo e
nessuno segnalava se eri primo o ultimo. Mi aggiudicai la volata, poi seppi di aver vinto la
corsa. Erano i tempi del ciclismo eroico.
Tagliai per primo il traguardo in 9 corse di fila. Vitali ne ha vinte 18 di fila. Vinsi a Varese una
corsa detta “La S. Remo degli allievi”. Partimmo in 400 e quasi in 200 disputammo la volata.
Secondo arrivò Antonio Maspes, che poi diventò un grande pistar e mio grande amico. Vinsi
altre gare in Italia e il mio nome cominciò a circolare.
L’incontro con Alfredo Binda
Un sabato, Il Faccoli mi disse di salire sulla sua Lancia che saremmo andati a Varese: la
prestigiosa squadra Binda mi aveva richiesto!
Ad accoglierci ci fu proprio lui, l’Alfredo Binda. Vedendo un monumento del ciclismo come
quello, non seppi più che dire. Binda gareggiò negli anni ’30 ed è uno dei più grandi campioni
di tutti i tempi. Mi offrì di correre per la sua squadra; avrei avuto, oltre a una bici nuova, il
vestiario completo da ciclista. Accettai subito; anche il papà fu d’accordo, ma mi ricordò che
“prima del divertimento c’era il lavoro”. Nel frattempo avevo iniziato a lavorare alla Rubis, una
fabbrica di pinzette con sede a Stabio.
Le corse in Italia
Lavoravo e la sera mi allenavo. Tutti i giorni percorrevo 60-70 km. Non sono mai stato seguito
né da un allenatore, né da un medico sportivo. Dovevo arrangiarmi per conto mio. Mi
alimentavo con caffelatte e minestrone. Ora non ne voglio più vedere in tavola perché ne ho
mangiato troppo. Anche col risotto ho chiuso. Quando c’erano le gare, andavo da Stabio a
Varese in bici, così anche per il ritorno. A Varese salivamo su una motoretta che portava al
luogo della partenza. La squadra era composta da 10 velocisti e 10 passisti. La domenica, in
Lombardia, c’erano sempre 7-8 corse, perciò i velocisti erano dirottati verso quelle con percorsi
piuttosto pianeggianti. Alla Binda c’era più organizzazione, un barlume di gioco di squadra e il
patron seguiva la corsa sull’ammiraglia. In molte gare ho avuto l’aiuto dei compagni che, se
partiva un avversario in prossimità dell’arrivo, andavano a prendere e io rimanevo tranquillo.
Poi i premi li dividevamo. I percorsi italiani erano più adatti alle mie caratteristiche. Da noi
c’erano troppe salite!

S’incrinano i rapporti con Binda
Si correva a Solbiate Olona: a 10 km dall’arrivo eravamo in 4: io e 3 forti corridori di un’altra
squadra. Loro sapevano che in volata li battevo, ma io non ce la facevo più. Il responsabile di
quella squadra mi si accostò con l’auto, chiedendomi come mi sentivo. Ero cotto, ma gli risposi
che stavo benissimo. Mi propose di arrivare 4°: in cambio avrei preso un premio superiore al
primo, cioè 20’000 lire. Io non ne potevo più e mi piazzai 4°. Binda venne a conoscenza della
faccenda che non gli piacque.
La domenica successiva si correva a Milano. Binda indicò in un certo Colombo colui che
avrebbe dovuto fare la volata. Chiesi se anch’io potevo tentarla. Mi rispose che a lui piaceva la
disciplina e io la corsa non l’avrei fatta, aggiungendo di rientrare in sede a Varese e di
aspettarlo. Con lui non si poteva discutere. Si incrinarono i rapporti e l’anno successivo tornai
alla Sport di Lugano.
I mondiali mancati
Nel ’49 conseguii 8 vittorie, 2 nel ’50 e 6 nel ‘51. Il ’51 fu anche l’anno del Campionato del
mondo di Varese. In una gara prima del mondiale, vinsi, a Como, davanti a tutta la squadra
nazionale italiana, ottenendo altri ottimi risultati. Malgrado ciò mi esclusero dalla nazionale. La
domenica dopo il mondiale, a Locarno mi aggiudicai un criterium dove corse pure il nuovo
campione del mondo. Quando il presidente della Federazione svizzera venne per premiarmi,
rifiutai i fiori. Ero arrabbiatissimo, anche perché la vittoria del mondiale se la contesero e il
ticinese Pianezzi, che battevo regolarmente, si piazzò 4°. Mio fratello disse pure al presidente
che non era degno di consegnarmi il premio. Devo pure dire che da noi esistevano 2
associazioni ciclistiche: l’Union Cyclistique Suisse (UCS) e la Schweizerische Rennfahrer
Bund (SRB). Tra loro c’era rivalità e La Sport era affiliata all’UCS che era minoritaria.
Professionista alla Mondia
Nel ’52, dopo aver vinto 37 gare, passai professionista. Fu la Mondia, squadra svizzera, a
chiedermelo. Il contratto prevedeva 50 fr per ogni partenza; 300 fr per vittoria, 200 fr se
classificato secondo e 100 se terzo. Inoltre, tutti i premi sarebbero stati divisi tra i componenti la
squadra.
Come professionista corsi due giri della Svizzera e un giro di Romandia. Il mio ruolo nella
squadra fu quello di gregario del capitano Fritz Schärr. Era un duro e dovevo sempre rimanergli
vicino. Se bucava dovevo dargli la ruota, quando aveva sete dovevo andare a prendergli la
birra, e doveva essere quella scura! Entravamo nei ristoranti e aprivamo i frigo, poi i conti li
spedivano alla ditta. C’era anche chi beveva barbera col grappino.
Come professionista mi aggiudicai una corsa a Ginevra; poi potei fare la gara perché non c’era
il capitano. Quando era in squadra decideva solo lui!
Scelta di vita
Nel periodo del professionismo sospesi il lavoro, ma, quando avevo un attimo di tempo libero, il
mio principale mi voleva in ditta. A un certo punto il signor Terrier, proprietario della ditta,
siccome mi riteneva bravo, mi disse che aveva bisogno di qualcuno che lo sostituisse quando
lui andava all’estero. Mi propose uno stipendio di circa 800 fr. Quando mi capitava di correre in
Svizzera interna, per andare in treno e per rifocillarmi, mi uscivano sui 50 fr. Era più la spesa
che il guadagno. Mio papà mi fece notare che avrei preso tre volte il suo stipendio. Avevo 22
anni: continuando sarei diventato un campione? O avrei fallito? Fallendo che avrei fatto?
Smettendo dopo i 30 anni, temevo di faticare a rientrare nel mondo del lavoro. Per poter
mantenere la famiglia alla fine della carriera avrei dovuto vincere moltissimo, perciò, seppur a
malincuore, smisi.
La boxe
La mia scelta mi ha poi portato a lavorare per la stessa ditta per 50 anni. Siccome, dopo aver smesso di correre in bicicletta, ingrassavo, ho iniziato a fare boxe. Pesavo
80 kg e gareggiavo nella categoria dei medio-massimi. Andavo ad allenarmi, in bici, in palestra
a Como. Gli allenamenti erano forsennati. Io, malgrado il peso, ero agile e, vinsi 14 dei 15
combattimenti sostenuti. Però arrivavo a casa ammaccato e mio papà mi disse che per i clienti
della ditta non era un bel vedere. Attaccai i guantoni al chiodo e, sempre in sella alla bici, andai
a Carona a fare arti marziali. Così non ebbi più gli occhi gonfi!
Parlando con un ciclista non posso esimermi dal chiedere se, ai suoi tempi, vi erano già forme
di doping.
La nostra droga consisteva in caffè molto carichi, con aggiunta di cognac e acquistare una
bottiglia di cognac, per la mia famiglia che disponeva di 300 fr al mese, non era una
sciocchezza. Poi è arrivata la simpamina. Se al giro della Svizzera non si prendevano almeno
2 pastiglie per tappa, che è una sciocchezza, il giorno dopo eri ko. Dava una leggera spinta,
ma ritengo fosse più una questione psicologica.
Simpson è morto perché ne abusò ed aveva un’insufficienza cardiaca. Non era la squadra che
procurava la simpamina, ma ognuno doveva cercarsela per conto proprio. Acquistavamo le
pastiglie in farmacia e costavano 3 fr. Al giro della Svizzera del ’52 ne ebbi a disposizione una
decina.
La collaborazione col Velo Club Mendrisio
Dal ’68, e per una ventina d’anni, collaborai con la Commissione tecnica del Velo Club
Mendrisio.
Nel mondiale del ’71, ebbi il compito di verificare il percorso e apportare i correttivi per la
sicurezza.
Prima che Bordogna diventasse presidente, il Velo Club era sull’orlo della scomparsa.
Un giorno, il presidente che ha preceduto Bordogna, ci informò che in cassa c’erano 160 fr. La
proposta era quella di dare quella cifra in beneficenza e chiudere baracca. Questo spiaceva e
ci siamo dati da fare per cercare un nuovo presidente. Bordogna, che era già impegnato nello
sport come allenatore di calcio, accettò, facendo la fortuna non solo del velo-club, ma di tutto il
ciclismo ticinese e svizzero. Quando il prof Rossi, che aveva grande inventiva ma pochi soldi,
fece la proposta del mondiale a Mendrisio, ci furono delle perplessità. Temevamo perché
Bordogna non conosceva il ciclismo. Ma il mondiale si rivelò un grande successo. Mendrisio e
il Mendrisiotto furono visti in tutto il mondo.
L’ episodio meno piacevole …
Si correva il giro del Lario ed ero in fuga con Cadola, un altro ticinese forte in salita. A un certo
punto, siccome non conosceva il percorso, mi chiese quanti km mancavano al traguardo: ne
mancavano solo una decina, ma c’erano salite, perciò gli risposi che eravamo distanti una
settantina di km dal traguardo e gli feci notare che, se collaboravamo, potevamo portare a
buon fine la fuga. Difatti lui, in salita, mi attese ed io, a Como, gli diedi 50m in volata. Lui la
prese male, perciò gli proposi di spartire i premi. Fui disonesto e questo mi spiace ancora
adesso.
… e quello più piacevole
È quello di una Milano-Busseto, corsa per commemorare il 50° della morte di Giuseppe Verdi,
che vinsi in volata, alla grande, davanti ai migliori italiani.
Ma anche quando vinsi il campionato svizzero militare! Feci la recluta a Wintherthur nella
Compagnia ciclisti, a 23 anni, al termine della mia carriera di corridore.
Il capitano Giudici, uomo onesto ma molto duro, disse, la sera prima della gara, che se uno del
nostro battaglione avesse vinto il campionato svizzero (i militi partenti erano circa 300!), gli
avrebbe dato 3 giorni di licenza-premio. Correvamo con scarponi, gamasce, gibernette, casco
e moschetto; non si potevano aprire più di 2 bottoni della giacca. La bici era militare con il
contropedale e, davanti, il freno con la bacchetta. Io vinsi, secondo si classificò Clerici, che
aveva appena ricevuto la cittadinanza svizzera, 3° Rolf Graf.
Eravamo alloggiati in uno stallone e disponevamo solo d’acqua fredda. Non si poteva uscire
dall’accantonamento, ma dopo 120 km ero bagnato e stanco perciò chiesi alla cameriera del
ristorante di fronte, che conoscevo, se potevo andare da lei a fare il bagno. Mentre,in tuta e col
fagotto sottosella, tornavo nell’accantonamento, mi passò accanto una jeep sulla quale sedeva
il capitano Giudici che non mi guardò. All’appello mi convocò in ufficio e mi disse che, siccome
avevo trasgredito un ordine, i tre giorni promessi decadevano, inoltre mi mise agli arresti
semplici e per tre sere dovetti pelare patate!

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